DEPRESSIONE O NEUROINFIAMMAZIONE?

E se al posto del Prozac bastasse un’Aspirina?

Pensieri pessimistici, difficoltà ad addormentarsi, umore deflesso, calo dell’appetito e della libido, mancanza di piacere nel fare le cose, desiderio di ritiro ed isolamento: questi sono solo alcuni dei sintomi più comuni e noti della depressione, ma che cosa la scatena quando apparentemente non ci sono gravi problemi o lutti che la persona si trova ad affrontare? Perché in alcuni casi compare “inspiegabilmente”?

Il World Mental Health Report dell’OMS, pubblicato nel giugno 2022, riporta dati allarmanti circa la salute mentale del pianeta e non si fatica a credervi ancor più dopo la pandemia da Sars-Cov-2. Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che la popolazione che soffre di un disturbo mentale ammonta ad un miliardo. Attualmente si stima che circa 12 miliardi di giornate lavorative vadano perse ogni anno a causa di depressione e ansia, le quali costano all’economia globale quasi 1 trilione di dollari. 

Dunque, a che punto si trova la ricerca per supportare quella che potrebbe divenire la malattia più diffusa al mondo entro il 2030? Cosa è cambiato nelle terapie psichiatriche dalla fine degli anni ’80 ad oggi? In realtà ben poco. Impensabile se si paragona questa branca medica con altre, come ad esempio la chirurgia non invasiva.

Una nota positiva, però, c’è e si trova negli studi che vengono condotti in diverse parti del mondo. In particolare, lo psichiatra inglese Robert Bullmore mi ha affascinata con la sua pubblicazione e il libro annesso “La Mente in Fiamme”, che penso di aver letto almeno 3 volte e che ho esposto nella libreria del mio studio come un cimelio sacro.

Ma che cosa asserisce Bullmore? Ebbene, secondo i suoi studi, durati 30 anni, la depressione potrebbe nascere da un’infiammazione del corpo che si estende anche alla mente. Un’idea alquanto rivoluzionaria, che se portata in cattedra nelle università potrebbe cambiare non solo le terapie farmacologiche, ma soprattutto la cultura viziata che si è creata attorno alle malattie mentali come depressione ed ansia.

Ad oggi, la maggioranza dei farmaci anti depressivi agisce inibendo la ricaptazione della serotonina, ovvero facendo sì che resti in circolo una maggiore quantità di serotonina, un ormone derivato dal triptofano e che pare essere implicato nella depressione.

Questo è anche ciò che più o meno deve aver detto Bullmore ad un suo paziente, circa 30 anni fa, che, non convinto della spiegazione dello psichiatra che gli stava prescrivendo un farmaco anti depressivo, chiese: “E lei, dottore, come fa a sapere che a me manca la serotonina?”. Una domanda banale, semplicissima, che bloccò il medico e iniziò a tormentarlo. In effetti, ancora ad oggi non si può rispondere: non esistono i marker della depressione e la teoria che coinvolge la serotonina piuttosto che altri neurotrasmettitori è puramente empirica. Insomma, siccome sembra funzionare per il 60% dei pazienti trattati, allora andrà bene, no? Peccato che l’altro 40% abbia effettivamente risposto altrettanto bene, ma al placebo. Quindi qualcosa non torna.

Oggi sappiamo che mente e corpo non sono due unità separate come invece si credeva (e ancora, ahimè, si crede in taluni ambiti medici) 30 anni fa: il sistema immunitario, infatti, mette in correlazione tutto quanto, incluso il cervello. Bullmore, in effetti, aveva notato che spesso i suoi pazienti depressi soffrivano anche di una patologia infiammatoria, come l’artrite. E se alcuni fossero più sensibili agli indici infiammatori che si creano nel corpo e i loro sistemi immunitari reagissero infiammando non solo la sede prefissata (ad esempio le articolazioni nel caso dell’artrite), ma anche il cervello?

Lo studio è davvero convincente ed affascinante, pertanto vi invito a leggere il libro di Bullmore per comprenderlo direttamente dalle sue parole.

Come esistono diversi tipi di cancro, potrebbero esistere anche diversi tipi di depressione e fra questi trovarsi quella su base infiammatoria.

A tal proposito vorrei accennarvi alle sindromi BGE che includono anche le pediatriche PANS e PANDAS e che, nel nostro paese, ancora non vengono riconosciute dal sistema sanitario, non garantendo ricerche, l’accesso alle terapie e molto altro. Potete consultare questo sito per avere maggiori informazioni in merito.

Riflessione personalissima

Facciamo finta che sia tutto vero e che domani il mondo si sveglierà sapendo che la depressione si può curare e prevenire davvero con poco: basterà regolare l’alimentazione, tendere a basificare l’organismo, assumere la corretta integrazione, evitare lo stress, fare attività fisica e, male che vada, prendere un antinfiammatorio. Ecco, immaginiamolo assieme. Quanto benessere mentale, fisico ed economico porterebbe alle persone? Non sarebbe stupendo? Talmente stupendo che viene da domandarsi, ma allora perché non tentare quella via? Poi sopraggiunge un pensiero di stampo più o meno complottistico: soldi, business, multinazionali, case farmaceutiche. Per loro sì che non sarebbe stupendo non poter accedere ad una fetta di un miliardo di persone. Perché, se ancora non si fosse capito, la parola pazienti fa anche rima con la parola clienti.

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